Peter Pan
#Pescara
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James Matthew Barrie – Peter Pan
La faccia da ragazzo invecchiato, su un paio di occhiali spessi da secchione fuoricorso, i capelli a spazzola come in un vecchio film di Elvis militare e le braccia cosparse di tatuaggi, sembra uno solo, ma mentre ti parla lo guardi e capisci che sono mille storie diverse, unite da un reticolo sognante di cielo e stelle. Ci apre la porta di una casa in mezzo al nulla, che potrebbe stare tranquillamente sulla costa di Sidney o in California. Una tana perfetta per questo ragazzo: un po’ casa, un po’ status symbol, molto sala giochi. La cosa che colpisce sono i televisori, un poco ovunque, che fanno a cazzotti con l’aria sognante dei mille libri, ricordi, oggetti, ammennicoli vari, lasciati in giro in un ossessivo apparente disordine, ordinatissimo. Storie su storie, come quelle sul- la pelle e mentre Antonio ti parla, vorresti fermarlo e chiedergli di raccontarle una a una.
Antonio Di Battista è un ragazzo salvato dalla passione. Nella grande cucina del piano terra, davanti a una piscina azzurra, che è uno dei tanti segnali della voglia di America un po’ ingenua e provinciale, mi racconta la sua vita, con semplicità e leggerezza di chi fa le cose naturalmente in maniera apparentemente facile. Figlio d’Abruzzo, scapestrato e senza una particolare attitudine allo studio, cresciuto in mezzo alla via come tanti ragazzi di queste parti, tra scaramucce e marachelle, con una sola grande passione: il west. Come molti ragazzi degli anni ‘60, si innamora di indiani, teepee, cow boys, colt fumanti e cavalcate nell’alba. Le scuole svogliate, il liceo arti- stico e poi al momento di decidere cosa fare, la scelta azzeccata è stata il neonato Istituto Europeo di Design, dove impara i rudimenti dell’essere stilista, di fare cartamodelli e disegnare. Ma lui, per sua stessa ammissione, non si è mai sentito tale. Appassionato di jeans inizia una collezione, fino ad avere in casa più di 3000 capi che raccontano la storia del denim.
Il colpo di fortuna, come spesso accade, avviene per caso o per destino. Da Brioni, che era un embrione di quello che poi diventerà, cercano due maschi per uno stage; nella classe di Antonio, sono solo due i ragazzi e così lui viene scelto. Da lì la macchina si mette in moto, e da allora non si è mai fermata. Diventa responsabile in breve della ITR molisana, un vero laboratorio creativo nei primi anni ‘90, si specializza ovviamente nelle lavorazioni dei jeans, soprattutto i lavaggi e lavorazioni delle tele, Dolce e Gabbana a Armani e poi via via, sempre con le mani nel denim.
Una storia di successo quella di Antonio, da ragazzo di provincia a consulente prestigioso per grandi marchi. Ma la passione del giovane restano le tele vergini, quelle di una volta fatte di un bel blu e vecchie stoffe cimosate, confezionate sugli antichi telai. Quei pantaloni rigidi e squillanti, modellati dal tempo e dalla vita di tutti i giorni, come i capi della sua collezione, che piano piano, crescono di numero e valore, sino a diventare uno degli archivi più formidabili del mondo. Con la mania del collezionista e la passione dell’innamorato, li sceglie uno a uno e intanto immagina una linea sua.
Quella arriva in fretta, la Blue Blanket, una collezione di pochi pezzi che anno dopo anno si arricchisce di nuovi modelli. Tutto denim originale, a telaio, cimosato e curato sin nei più piccoli dettagli. Pochi pezzi, sempre di tela integra, molto classici e cesellati capo a capo, con la caparbietà propria degli abruzzesi “capatosta”, non smette di inseguire il suo sogno di purezza e integrità del capo americano, con la speranza di arrivare a dedicarsi a questa attività a tempo pieno, di poter mollare una storia di consulente di successo per dedicarsi solo alla sua collezione.
Il marchio cresce, non senza qualche difficoltà nel conciliare le due professioni, vola di bocca in bocca tra appassionati di tutto il mondo e si conquista un posto di primo piano tra i marchi più noti tra i maniaci del blu indaco.
Antonio dalle colline di Pescara, affacciato sull’Adriatico, insegue la sua passione, possibile forse solo in questo angolo di stivale, che ricorda un po’ le coste americane, tra le quali lui viaggia con le sue moto, restaurate fin nel dettaglio dalle sue operose mani da artigiano. Pochi capi iconici, pantaloni soprattutto, dal taglio impeccabile e filologico, solo un poco attualizzati per vestibilità, qualche modello diverso, ispirato al mondo del lavoro, tra cui un grembiule in tela di Genova, che è un sogno. Sempre la cura maniacale dei dettagli, dai rivetti originali, ai bottoni in metallo, fino alle cuciture degli orli fatte a punto catenella come i vaccari del west, lo consacrano alla fama internazionale, i suoi Blue Blanket vengono venduti in tutto il mondo, tranne forse proprio in Italia, ma si sa, nessuno è profeta in patria.
Tutto curato e ragionato, come la sua casa, dove entriamo in punta di piedi e ci fa capire molto del suo gusto. Un po’ casa e un po’ laboratorio. Il piano terra affacciato sulla piscina e in fondo il mare, tra Miami e Abruzzo, poi il primo piano per la notte, spazi ampi, dilatati che non sono mai solo una cosa.
L’ultimo piano è lo studio di Antonio, un open space, che contiene parte del suo archivio, tavole da skate abbandonate e vecchi surf, al centro un tavolo da sarto, artigiano e faticato, tutto in ordine maniacale, da qui nascono le creazioni per la sua linea.
Vecchie foto, libri, vinili affastellati, ci raccontano l’immaginario americano di questo giovane. Un immaginario fatto di freak in pulmino Wolksvagen, di falò sulla spiaggia, surf e musica rock. Nell’interrato un vero flash: il laboratorio, o meglio i laboratori. L’officina con le vecchie custom Triumph che ristruttura con le sue mani, moto ovunque, alcune rimesse a nuovo altre lasciate così, perché il segno del tempo è un bene da preservare, un banco da falegname, sul quale costruisce fascinosi long board in legni preziosi e ruvidi, che sembrano appena usciti da un film dei Beach Boys e della gloriosa era del surf, dietro in una stanzetta, la sala musica con le chitarre e un grande divano, dove suonare per ore. Ovunque, lungo le pareti, il suo archivio di capi storici: dagli storici Levis 501, alle scarpe Vans delle prime collezioni, fino a stivali western e giubbotti di cordovan da poliziotto. Nel mezzo sugli stand ordinati, le collezioni Blue Blanket, si fanno notare per il loro colore integro, la croccantezza dei tessuti, che quasi stridono nel mezzo di tanto vintage. Penso subito che siano storie ancora da scrivere, qui si confeziona la trama dei sogni, che altri dovranno sognare.
Seduto al grande tavolo conviviale della cucina penso che questa casa moderna e minimal, dal suo sapore contemporaneo sia uno scrigno, due piani privati e moderni, di buon gusto, racchiusi da due gusci artigiani e operosi. Ecco anche questo è l’Abruzzo, una terra antica e dove tutto è apparentemente possibile, terra di passaggio, dove ci si può permettere il lusso di rischiare e sbagliare, tanto chi ci vede? Un po’ tradizione, un po’ nuovo mondo: terra di opportunità e stanchezze molli e lascive. Un paese dal quale fuggire per vedere il mondo, ma poi tornare per disegnarlo nuovo, un po’ come ci pare. Qui tutto è possibile, proprio perché sarebbe naturale non fare nulla e vivere tranquilli, tra mare e monti, in una rassicurante vita di provincia. Sugli anonimi coli pescaresi è possibile anche sognare la west coast e creare dei capi che girano per il mondo e vanno a raccontare una storia unica di artigianato e dettaglio.
BLUE BLANKET JEANS
GET LOST srl
Via Moncenisio 26/2
65015 Montesilvano (Pe) – Italia
www.blueblanketjeans.com
Testo di ALESSANDRO BOCCHETTI
Foto di STEFANO SCHIRATO