Niko Romito. Storia di un uomo.

Ricordo Niko con i capelli, ricci e chiari, ancora lontanissimo dall’uomo ieratico e saggio di oggi, un ragazzo guizzante e pieno di desiderio di spaccare il mondo, con una voglia dentro ansiosa e contagiosa. È strano come il cuoco più tecnico e scientifico d’Italia venga da una formazione irregolare ed eterodossa, sostanzialmente autodidatta, con qualche debito di gratitudine alla grande (e sottovalutata) Valeria Piccini.

Una infanzia romana borghese: motorino, liceo e università alla Luiss, lontano dalle vette dell’Appennino, da Rivisondoli che gli ha dato i natali, proiettato verso un futuro cittadino, un lavoro in banca o in economia. Ma il legame con la montagna è qualcosa che gli abruzzesi si portano dentro, un richiamo continuo e costante, soprattutto se ci sei nato e se ci ritorni a odorare gli affari di famiglia, una pasticceria bar nei locali di quello che sarà la prima sede del Reale.

Il giovane Niko sale spesso sui monti a trovare la famiglia, innamorato di queste montagne e degli scorci della Majella, ma non ci pensava proprio a vivere qui, fino all’imprevisto. La vita delle persone è dominata dagli accadimenti, ne sono convinto, l’intelligenza in fondo altro non è che la capacità di adattarsi alle situazioni, in questo caso una situazione tragica: il papà viene a mancare e il ragazzo deve rapidamente diventare adulto. Ma Niko come tutti gli abruzzesi è tosto, molto più di quanto sembra, decide che il futuro sarà la cucina, proprio nei locali di famiglia di Rivisondoli. Il Reale poco a poco da bar pasticceria, diviene trattoria e poi ristorante.

Sa poco di cucina, ma questo diventa una risorsa non un limite. Lo studio e le ore passate ai fornelli non contano e non lo affaticano, è come un muro bianco, illibato, capace di essere dipinto con un affresco bellissimo.

Me lo ricordo giovanissimo mostrarmi trafelato il primo Roner visto in vita mia, tornato col lampo negli occhi dalla Spagna, da uno dei primi “Lo mejor de la gastronomia”, parlarmi delle meraviglie della cottura a bassa temperatura, quando ancora nessuno in Italia lo faceva. La curiosità è stata sempre una sua costante insieme a un iperattivismo, che lo porta in poco tempo a bruciare tutte le tappe. Un giorno nelle sale linde di Rivisondoli, mi mostra la piantina di un vecchio rudere, un monastero a Castel di Sangro. Castel di Sangro lo conoscevo solo come un incubo dell’infanzia per i campi estivi della federazione tennis, veri luoghi di tortura giovanile. “È un posto pazzesco, voglio farne un albergo di montagna e una scuola per giovani chef, ma devo indebitarmi per una vita intera per farlo”, sembrava una battuta, un sogno buttato lì, uno dei tanti progetti del grappino da fine cena, ma invece no, un pugno di anni e quel sogno è diventato realtà.

Casadonna è un luogo incredibile, nel bel mezzo del nulla, è diventato uno dei luoghi chiave della gastronomia italiana. Un Relais di poche camere, curate e cesellate nel dettaglio, definirlo albergo è riduttivo, una casa di montagna, dall’architettura raffinata, materiali caldi e organici, una colazione che da sola meriterebbe il viaggio, il paesaggio che vedi dalla finestra diventa una suggestione, viene reinterpretato e inquadrato da una lente mentale, apparentemente distaccata e algida, ma visione di purezza e nitore montano.

La nuova casa del Reale, nel frattempo divenuto uno dei tre stelle Michelin, in pochi anni consacrato il miglior ristorante in Italia, con uno stile particolare, essenziale e nitido in tutto dalla famosa cucina al servizio e stile minimale di Cristiana Romito che ormai sta facendo scuola. La scuola di formazione, Niko Romito Formazione, che in associazione con l’università di Pollenzo sforna giovani cuochi riconoscibili e moderni, dalle idee chiare e lo stile inconfondibile. Un progetto di viticoltura estrema, a ridosso del monastero cinquecentesco a quasi mille metri sul mare, che conquista premi con il suo Pecorino e mille altre piccole cose, che nascono quotidianamente, apparentemente vorticosamente e naturali, ma legate da un filo rosso.

Negli anni ho imparato che ai fratelli Romito bisogna credere, mai sottovalutarli, hanno la dote apparentemente magica di dare consistenza alla materia dei sogni. In realtà molto concreti e “capatosta”, con una capacità di lavoro straordinaria, edificano sogni, ammantandoli di naturalezza. La cucina di Niko è solida e pensata, se si spinge l’osservazione oltre alla leggerezza poetica evocativa di titoli semplici come Verza e Patate o Lenticchie Nocciole Aglio e Tartufo Bianco (solo per citare le ultime creazioni), nomi che richiamano all’essenza del prodotto e alla familiarità di ricette territoriali, ma in realtà portate tecniche e studiate nei particolari. Si parte dal prodotto, prima scomposto e analizzato nel dettaglio, poi passato attraverso una straordinaria memoria sensoriale della tradizione, smontato nelle componenti fisico-chimiche, infine riassemblato attraverso passaggi di cucina, mai fine a se stessi ma con la bussola saldamente puntata sul risultato finale. La tecnica e persino la tecnologia è essenziale a questo processo creativo: l’obiettivo resta il piacere e la digeribilità, la capacita di giocare con i ricordi e le emozioni di un territorio e di un alimento in maniera quasi neuronale. Nei relativi pochi anni di vita di Romito cuoco, l’ho visto crescere e cambiare, in un viaggio spedito verso questa semplice complessità, apparentemente spontanea, ma invece figlia di applicazione e metodo cartesiano.

Il risultato è una nuova cucina italiana, che in se ha tutto: passato presente e futuro. Il Reale è l’officina, l’atelier dove mostrare intuizioni sempre più mirate, ma il palcoscenico di applicazione infinita.

E così partono i nuovi progetti, le nuove avventure. Intelligenza Nutrizionale è un progetto sperimentale, per portare qualità, efficienza e economia nella ristorazione collettiva, come sempre si fa dannatamente sul serio, i partner sono importanti come la Sapienza di Roma che certifica il lavoro e il gruppo Miraglia che presta i suoi ospedali privati per il progetto e investe risorse. Si comincia dalle mense degli ospedali, vero emblema del mangiar male, e dopo un progetto durato due anni, si arriva a servire pasti di qualità ai degenti, un processo complicato ma vincente, pronto per essere esportato in tutti i campi della ristorazione collettiva. I piatti assaggiati sono buoni, fragranti, digeribili e riconoscibili, saldamente mediterranei: il tutto tenendo salvi i problemi economici e riuscendo a quadrare un cerchio apparentemente impossibile. L’approccio è quello, scientifico e spontaneo, si presta a mille declinazioni e infatti tanti sono i progetti in campo, da Spazio, i moderni bistrot, sbocco naturale della Niko Romito Formazione, che danno una applicazione diretta ai nuovi diplomati, al progetto Bomba che porta negli autogrill la pasticceria italiana. Tante idee e intuizioni figlie di una sola idea comune: ripensare la cucina italiana in ogni declinazione possibile.

L’ultima avventura sono i ristoranti Niko Romito, in collaborazione con Bulgari, vera ammiraglia del lusso e ambasciatrice nel mondo del belpaese. Non solo gioielli, ma alberghi di alto livello con aperture nelle principali capitali mondiali, dall’Oriente emergente alla solida Europa. In ogni albergo Bulgari ci sarà un ristorante Niko Romito, ovunque cucina classica italiana. Beh classica, con lo stile Romito!

C’è voluto lavoro e dedizione per riscrivere i protocolli di piatti storici come fettuccine, tortellini, cotolette alla milanese, risotti, brasati e tutto quanto rende la nostra cucina famosa nel globo, con l’attenzione alla riconoscibilità e tipicità italiana, la cucina di Niko diventa sempre più simile a una partitura di Coltrane tutta in levare, o a una “Attesa” di Fontana, l’intuizione del genio che capisce che la tela non è solo bidimensionale ma tridimensionale con l’apparente semplicità definitiva di un taglio, che si spinge oltre il piano della tela. “Siamo arrivati a un nucleo di piatti e concetti gastronomici in cui secondo noi è rappresentata l’essenza del bel mangiare italiano”, in questa dichiarazione di Niko si concentra il pensiero di una cucina fortemente innovativa.

Il mio viaggio in Abruzzo, comincia e finisce qui, nelle stanze di roccia di Casadonna, la metafora migliore di questa terra incredibile, che forgia talenti unici e che faticosamente comincia a osare nel mondo, ma restando solidamente nei propri territori, quasi al confine dell’impero, tra spazi rarefatti, poco abitati, ancora incontaminati, sospesi tra antico e moderno. Un altro Abruzzo è possibile, che lega il paesaggio, i saperi, i prodotti, gli scorci, e li sa usare come un filo rosso sul quale un acrobata si muove sicuro tra antico e futuro, il rischio è l’inciampo ma anche il suo bello.

Niko Romito, “capatosta”, cuoco, imprenditore, italiano ma soprattutto abruzzese.

 

Testo di ALESSANDRO BOCCHETTI
Foto di STEFANO SCHIRATO

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