I serpari di Cocullo

“…nei giorni prima della processione non esiste famiglia in paese che non accudisca qualche serpente da offrire al Santo. ”

La campanella della chiesa di san Domenico a Cocullo suona, tirata dai denti dei mille pellegrini accorsi da tutto il mondo: così comincia una festa religiosa, ma che affonda le radici in un’epoca remota precristiana: gli antichi popoli italici, i Marsi e il culto della dea Angizia protettrice dai veleni. L’Abruzzo è anche questo: una modernità sospesa tra passato e futuro. Le montagne invalicabili, le gole aspre e le nevi eterne dei ghiacciai, hanno per secoli protetto questa terra e riservato la cultura popolare. L’antico, talvolta persino il primitivo, è di casa e mi sembra subito chiaro per le vie anti- che di questa piccola cittadina, invasa da gente in processione e da serpenti ovunque.

Al collo, per strada, arrotolati intorno a un braccio, in mano a bambini e anziani, nei giorni prima della processione non esiste famiglia in paese che non accudisca qualche serpente da offrire al santo. Sembra di aver preso una macchina del tempo ed essere tornati indietro ad antichi culti pagani. Il primo maggio questa processione lascia attoniti e aiuta a comprendere questa terra aspra e gentile. L’antico è qualcosa di agito, di reale, non una rievocazione, ma un continuo che sfida i secoli e resta attuale, è questa la cifra degli Abruzzi, come diceva Boccaccio “più in là ci sono gli Abruzzi”, come le Colonne d’Ercole, un posto magico dove ogni cosa sembra possibile. Le tradizioni non sono mai morte qui, all’ombra della Majella, ma sempre metabolizzate e digerite in un continuo senza fine. Non è forse proprio questa la modernità? Risiede in questo dialogo proficuo e memore.

La processione comincia con l’uscita della chiesa della statua di San Domenico, benedettino d’Appennino che ha fondato vari eremitaggi sulle montagne abruzzesi, in piazza è atteso dai Serpari, che espongono i loro serpenti raccolti nei mesi prima e nutriti con attenzione per questo evento. Piano piano, si avvicinano alla statua e depongo- no i loro rettili, sino a ricoprirla. C’è qualcosa di magico in questo rapporto che lentamente si forgia tra terra e religione, tra natura e mito. Le diffidenze e paure iniziali vengono sciolte in un rito catartico e propiziatorio: per i mali, per le terre e per le anime.

Lo sguardo si posa sui serpenti e sugli sguardi concentrati dei Serpari e della gente intorno che segue la processione. Uno spettacolo incredibile, che spiega l’Abruzzo meglio di mille trattati e analisi sociologiche. Questa terra è soprattutto tradizione, innovazione, riti e modernità legati in un abbraccio indissolubile e intimo, come qualcosa che è sempre stato e sempre sarà.

 

Testo di ALESSANDRO BOCCHETTI
Foto di STEFANO SCHIRATO

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