Corsa degli zingari

“Life is a mystery, everyone must stand alone I hear you call my name And it feels like home…
I have no choice, I hear your voice Feels like flying I close my eyes, oh God I think I’m falling
Out of the sky, I close my eyes Heaven help me”

Madonna – Like a Prayer

 

Decine di corpi di ogni età e vissuto, distesi per terra con i piedi rivolti al cielo. Accalcati sul gelido marmo della piccola chiesa. C’è chi si lamenta dolorante, chi lacrima di gioia, chi ansima e recupera il fiato. E anche chi – corroso dalla fatica – si lascia andare al gesto un po’ splatter di rimettere dinnanzi all’abside della Madonna di Loreto. Non pensate male. Non abbiamo preso parte a chissà quale cruento rito vudù. Questo è solo l’epilogo della Corsa degli Zingari di Pacentro. Un evento, ben oltre il folklore. Che coinvolge sentitamente pacentrani (e non) da più di 560 anni.

L’occasione è troppo ghiotta per non piazzarci in sottofondo – come soundtrack un po’ sacra e profana – la traccia Like a Prayer di Veronica Ciccone. Al mondo nota artisticamente come Madonna, che proprio in questo paesello abruzzese ha visto i natali. Senza nulla togliere alla Regina del Pop, le star della giornata sono i temerari corridori di questa antichissima manifestazione. Che in assonanza alla canzone appena citata, trova origini a metà tra rito pagano e tradizione cristiana. Una rievocazione che ogni anno si snoda in un percorso tanto semplice, quanto dal poderoso impatto emozionale: la prima domenica di settembre, un gruppo di ragazzi più o meno giovani (rigorosamente del luogo) si arrampicano e corrono scalzi lungo il Colle Ardingo, che scruta il polo opposto del paese. Attraversano il fiume Vella e risalgono a tutta birra le mura della cittadina fino alla Chiesa. Picchiandosi anche, se è necessario al trionfo.
Cinque o sei minuti brutali, di condensata prova di forza e resistenza. In cui si massacrano i piedi, per arrivare primi.
Tanto sacrificio e violenza. A che pro direte voi. Proviamo a far chiarezza: il termine zingari non si riferisce ai popoli nomadi. Descriveva in passato gli scalzi, ovvero chi non possedeva neanche i soldi per acquistare un paio di scarpe. Se infatti la teoria religiosa, associa le radici della corsa al volo della Madonna di Loreto dalla casa di Nazareth alle Marche. Che la vide posarsi sul Colle Ardingo, per poi raggiungere Pacentro a piedi nudi (decretandolo luogo di culto). La più realistica versione pagana, si rifà a un sincero atto di rivalsa sociale: nel Medioevo, i poveracci che correvano nudi per raggiungere il traguardo, ambivano alla vittoria perché in premio vi era un posto da paggio alla corte del principe. O, secondo altre ricostruzioni, in palio un ruolo da cadetto nell’esercito del condottiero Giacomo Caldora. Personaggio storico di grande lustro in questi lidi.

Come ogni usanza remota, la corsa ha preso nuove forme e applicazioni odierne. Senza però intaccare l’enfasi e lo spirito di appartenenza dei corridori e dei tifosi pacentrani. Dalla rincorsa originale per l’upgrade di classe, si è passati a un premio fatto di un pezzo di stoffa: materiale simbolico per ricamarsi un vestito, che ancora oggi viene eretto come bandiera per i vincitori. Fino agli attuali premi in denaro per chi taglia il traguardo. Un vincitore non è più così individualista. Vengono concesse ricompense minori dal carattere sportivo anche all’ultimo classificato; al più giovane; a chi si fa più male e a chi raggiunge per primo determinati ostacoli del pellegrinaggio. I premi però, non sembrano essere il vero obiettivo dei partecipanti. Basta ammirarne l’atteggiamento e il carico emotivo prima, dopo e durante la competizione. Veterani ultra cinquantenni trovano il coraggio di rimettersi in pista, criticando velatamente la spinta motivazionale dei più giovani in una singolare rivendicazione di anzianità. Padri, figli e nipoti, si tramandano dritte e duri allenamenti, pronti a competere poi sullo stesso selciato. Giovanissimi, in barcollante esitazione, ripetono “Chi me lo ha fatto fare” mentre firmano la liberatoria per dar via alle danze. C’è anche chi si è preparato per mesi alla corsa. Deciso a vincere senza compromessi.

Arrivando a camminare scalzo per le vie del paese, nel tentativo di temprare i piedi sulla nuda roccia o ricorrendo a miracolosi impacchi all’aceto. Profili disparati, ma scanditi tutti da volontà autentica e genuina. Come un simpatico signore italo-americano – con avi originari di Pacentro – che afferma di correre per un legame ideologico e prettamente territoriale: “My family was born here. So this place is in my heart and this run is in my blood”.

Ecco forse cosa ritrae la Corsa degli Zingari: un concetto di fratellanza devota al territorio. Che muove in volata oltre i valori statici di fede o gloria. Trova nido nella collettività del borgo abruzzese. Nell’idea di mantenere vive e possenti le usanze locali. L’ultima conferma ce la concede il vincitore di quest’anno.
Il diciottenne Simone di Loreto. Emozionato, ma composto. Prima di esser preso in spalla dai compagni e condotto trionfante lungo i perimetri del paese:
“Due anni fa mi sono frantumato i piedi correndo e sono stato costretto a fermarmi. Ripartire e vincere era fondamentale per la tradizione della mia famiglia. Per Pacentro e per superare la paura dopo l’infortunio. Capisci tutto quando sali su in cima e trovi la forza di lanciarti a occhi chiusi. Raccogliendo velocità, al suono della campana. Solo allora comprendi il valore che questa competizione è in grado di trasmetterti”.

 

Testo di LORENZO SANDANO
Foto di STEFANO SCHIRATO

Per maggiori informazioni: www.corsadeglizingari.it

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